lunedì 7 marzo 2011

capitolo 7 L'incubo

Ancora con gli occhi chiusi, allungai la mano in cerca del caldo tepore del suo corpo ma le lenzuola erano fredde, segno che era già uscito. Un leggero soffio d’aria a cui prima non avevo fatto caso, mi arrivò dritto sul viso, spalancai gli occhi in preda ad uno strano presentimento.
Sul soffitto sopra di me un immenso ventilatore a pale spargeva un filo di brezza per tutta la stanza, aprii e chiusi gli occhi più volte, volevo convincermi di stare ancora sognando, ma ogni volta la visione era sempre la stessa... una grande stanza tutta bianca, dei tubicini uscivano dalle mie braccia e si collegavano a delle macchine... una stanza d’ospedale... che cosa poteva essere successo? Che fine aveva fatto la mia tenda?
Il terrore mi chiuse la gola. Cercai di issarmi sul letto ma non vi riuscii la testa mi pulsava come se avessi avuto un martello pneumatico al posto delle tempie.
dottore venga, finalmente si è svegliata!”. Disse una voce che non conoscevo.
Cercai di capire da dove provenissero quelle parole, ma non feci in tempo perché un uomo di mezza età con i baffi e un lungo camice bianco fece il suo ingresso nella stanza sorridendo. 
"buongiorno signorina, finalmente è tornata tra noi... come si sente?”
Lo guardai con gli occhi sbarrati, da quanto tempo mi trovavo in quel luogo? Che ne era stato di Anuar? Avevo mille domande che mi ronzavano in testa ma non riuscivo a connettere. 
 “dove mi trovo? Da quanto tempo sono qui?” furono le uniche due frasi che riuscii a formulare.
questo è l’ospedale civile del Cairo, è stata trasportata qui priva di conoscenza una quindicina di giorni fa. È stata in coma per tutto questo tempo. Ma che ci faceva da sola nel deserto?”
Quindici giorni? Ma come era possibile, di che stava parlando quel tipo? 
chi... chi mi ha portata qui?” chiesi con l’ultimo filo di voce che era rimasta nei miei polmoni mentre una morsa invisibile mi stringeva alla base del collo.
l’hanno trovata alcuni escursionisti americani nel deserto vicino all’oasi di Farafra, pensavano che fosse morta, hanno chiamato la polizia e loro l’hanno trasportata in questo ospedale, non ricorda proprio nulla di quello che le è successo?”
“n... non riesco a ricordare nulla... mi dispiace!” volsi la testa dall’altra parte per chiudere quella conversazione che stava devastando la mia anima.
E’ comprensibile, non si preoccupi, vedrà che col tempo anche i ricordi riaffioreranno, ora la lascio riposare... deve riprendere le forze!” mi disse uscendo dalla stanza.
Quando fui certa di essere rimasta da sola mi girai verso la finestra,  fuori la luce del tramonto colorava tutto di rosa ma i miei occhi erano ciechi. Sul mio cuore si era posato un immenso macigno.
Continuavo a pensare ad Anuar, a rivedere il su viso nei miei pensieri, a sentire il morbido contatto delle sue labbra sul mio corpo, come poteva essere stato tutto il frutto di un sogno?
Ripensandoci fin dal primo momento in cui l’avevo visto, quando quella prima sera si era chinato su di me, avevo pensato che lo fosse, ma poi avevo assaporato i suoi baci, avevo sentito il calore delle sue mani sul mio corpo e quell’ultima notte d’amore era stata qualcosa di speciale, non potevo aver sognato tutto questo, dovevo farmi forza e scoprire che cosa fosse successo.
Ero sicura che quel dottore mi stesse mentendo ma non riuscivo a capire lo scopo di tutto questo. Decisi di ripagarlo con la sua stessa moneta, non gli avrei detto niente del tempo trascorso nella tenda in mezzo al deserto, ne tanto meno di Anuar, qualcosa mi diceva che sarebbe stato meglio così. 
Sarei stata al suo gioco, avrei fatto finta di non ricordare niente, a tempo debito gli avrei parlato dell’incidente ma non gli avrei rivelato niente di più.
Passarono i giorni, i tubicini piano piano vennero rimossi, il dottore passava più volte al giorno a visitarmi ed ogni giorno mi chiedeva della mia permanenza nel deserto, un po’ al giorno fingevo di aver ritrovato la memoria... gli raccontai l’episodio dell’incidente e il mio tentativo di arrivare da sola ad un centro abitato. 
Sembrava soddisfatto del mio racconto, mi redarguì sul ritrovamento della jeep da parte della polizia ed ancora una volta restai schiacciata da quel dolore, anche se niente era paragonabile a ciò che stavo provando dopo la perdita di Anuar.
Dopo pochi giorni, il dottore sembrò arrendersi al fatto che io non ricordassi niente altro e finalmente fui dimessa dall’ospedale.
Sarei voluta tornare immediatamente nel deserto per assicurare a me stessa che non ero una pazza, che non era stato tutto un sogno, ma i miei progetti vennero ancora una volta sconvolti, ad attendermi davanti all’uscita dell’ospedale c’era una limousine nera ed il segretario del console britannico.

Nessun commento: