domenica 23 ottobre 2011

Capitolo 72

Aurora

Grazie all'aiuto di Francies, anche se a fatica, riuscii a tirarmi fuori dal baratro nel quale stavo precipitando senza neanche rendermene conto, avevo passato troppo tempo lasciandomi andare, annullando completamente me stessa dentro quel dolore sordo che, dal giorno in cui avevo lasciato la villa di Luxor, si era posizionato all'altezza del mio cuore ma, anziché combatterlo come bene o male avevo sempre fatto con le sventure che si erano susseguite lungo la mia esistenza, mi ero nutrita di esso trasformandomi in uno zombie.

Francies era arrivata appena in tempo per salvarmi da me stessa, ero stata una sciocca a non chiamarla, a non confidarmi con lei, grazie alla sua forza ed alla sua gioia di vivere in pochi giorni tornai ad essere la solita Aurora di un tempo, anche se il peso che portavo nel petto non accennava a sollevarsi, ormai ero consapevole che avrei passato la vita con quel silenzioso compagno di viaggio ma,  tra pochissimo tempo avrei avuto la compagnia del mio bambino a confortarmi nei giorni bui.
Quando iniziai a stare un po' meglio, insieme a Francies mi convinsi a trasformare il vecchio studio di zia Stephanie in una cameretta da favola per il mio piccolo principe, e se fosse stata una principessa? Avevo fatto le ultime visite insieme a Francies, ma non avevo voluto sapere il sesso del piccolo, avevo deciso di aspettare la sorpresa, per me non aveva importanza che fosse maschio o femmina, l'unica cosa di cui mi importava era che stesse bene, e dopo tutti i rischi che avevo corso in Egitto, non ero troppo tranquilla, se fosse successo qualcosa a quel bambino non avrei avuto la forza di andare avanti.
Chiamai una ditta specializzata in traslochi e feci imballare tutti i libri della zia in grossi scatoloni di cartone, ancora non sapevo che ne avrei fatto, quindi li feci impilare nel salotto, e quando finalmente i vecchi mobili della zia furono portati via dal furgone mi misi all'opera aiutata dall'instancabile Francies dipingemmo la stanza di un pallido azzurro cielo su cui feci dipingere delle soffici nuvole bianche, e sul soffitto applicai delle stelline fosforescenti che la notte brillavano nel buio... volevo che il mio bambino avesse la sensazione meravigliosa che avevo provato io dormendo sotto il manto stellato... era quasi tutto finito, i mobili erano già stati sistemati, mancava ancora qualche piccolo ritocco e poi tutto sarebbe stato pronto.
Una mattina mi svegliai con una strana frenesia, avevo sbagliato tutto, mancava ancora una cosa perché quella stanza fosse esattamente come volevo che fosse... andai in un negozio per il fai da te e tornai a casa con tutto l'occorrente per dipingere sul muro, non dissi nulla a Francies di quello che stavo combinando, certa che mi avrebbe dissuaso dal sottomettermi ad una fatica simile, erano anni che non toccavo un pennello, ma, sentivo che era giunto il momento di rimettermi all'opera... abbozzai il disegno sul muro a matita e poi iniziai a distendere il colore, mano a mano che andavo avanti col mio lavoro, mi sentivo sempre più entusiasta ed il bambino sembrava condividere la mia emozione perché non smetteva di dibattersi nel mio ventre, dopo le prime pennellate insicure il disegno prese forma sotto i miei occhi e mi ritrovai a fissare estatica i personaggi di Madagascar che mi correvano incontro sorridendo dalle sabbie cristalline dietro di loro, la stanza che fino a pochi giorni prima era una camera come tante altre, si stava trasformando in un piccolo paradiso africano.

Erano giorni che lavoravo a quel progetto e la stanchezza si faceva sentire, avevo la schiena e le gambe a pezzi ma, finalmente, ancora poche pennellate e tutto sarebbe stato perfetto e poi avrei avuto tutto il tempo che volevo per riposare.
Francies mi telefonò per dirmi che sarebbe passata a trovarmi nel primo pomeriggio mentre si recava in aeroporto... aveva avuto una discussione con Robert, così, per farsi perdonare, aveva pensato di fargli una sorpresa raggiungendolo a Los Angeles per festeggiare assieme il suo compleanno.
Era piovuto tutta la mattina e l'aria era densa di umidità, nel primo pomeriggio un pallido sole si fece largo tra la coltre di nubi ed io spalancai la finestra per assaporarne il tepore sulla pelle mentre davo gli ultimi ritocchi al mio capolavoro, chissà che avrebbe pensato Francies vedendo quello che avevo combinato!
Una ciocca di capelli, sfuggita alla coda di cavallo mi scese sul viso, cercai di spostarla, ma il pennello mi sfuggì di mano cadendo ai miei piedi... questa non ci voleva, con il pancione era un'impresa titanica chinarmi a raccoglierlo... “uffa!!” mi sfuggì dalle labbra mentre cercavo di costringere le mie ginocchia a piegarsi, mi sentivo come un enorme pachiderma costretto ad un numero di contorsionismo in un circo.

Allungai la mano in cerca del pennello e mi ritrovai a sfiorare un altra mano, sollevai lo sguardo e mi rispecchiai in due iridi verdi che mai avrei pensato di rivedere in vita mia... restai senza parole, mi scordai persino di respirare mentre il barattolo del colore che stringevo ancora nell'altra mano mi scivolò tra le dita spargendo il suo contenuto rosso fuoco sul pavimento immacolato.
Non potevo credere che fosse proprio lui, mi stavo sbagliando, forse stavo solo sognando, la mente riusciva a creare strani disegni a volte, doveva essere proprio così, mi ero talmente immedesimata in quello che stavo facendo che lui si era materializzato di fronte ai miei occhi.... tra pochi istanti mi sarei svegliata ed avrei scoperto che era stato solo un sogno, uno splendido sogno, “non voglio svegliarmi... non voglio svegliarmi.... non voglio svegliarmi” continuava a ripetermi una vocina dentro la testa.
Anuar?” pronunciai il suo nome senza nemmeno accorgermene.
sì Aurora”
Allora era tutto vero... era veramente inginocchiato di fronte a me, non era il frutto della mia fantasia.

La sua bocca sempre più vicina, sentivo il suo respiro sul viso, la barba solleticarmi la pelle delle guance, e, quando finalmente le mie labbra si posarono sulle sue tutte le mie paure si dissiparono, come il sole in primavera strappa la terra al gelo, così il suo bacio aveva risvegliato il mio cuore sollevando il peso che opprimeva la mia anima.

giovedì 6 ottobre 2011

Capitolo 71



Anuar

Uscii dalla grande villa con il cuore molto più leggero rispetto a quando vi ero entrato, finalmente ero riuscito a far luce sul mistero che pareva aver circondato Aurora sino a poco tempo prima, ora non mi rimaneva che correre a Londra e cercare di farmi perdonare da lei.
Andai subito in cerca di un taxi che mi portasse all'aeroporto di Luxor, dovevo trovare un volo per Londra che partisse il prima possibile, avevamo passato già troppo tempo lontani e la voglia di lei era un dolore sordo che mi attanagliava le viscere.
Non avevo ancora controllato i documenti che mia madre aveva messo dentro lo zaino che mi aveva consegnato prima che partissi, appena mi sedetti sul sedile posteriore del taxi tirai fuori la busta che conteneva il passaporto e tra le pagine scivolò fuori un foglio ripiegato in quattro dove riconobbi l'elegante e minuta calligrafia di mia madre.

tesoro mio,
Ti ho amato sin dal primo momento in cui ho saputo che stavi crescendo dentro me, e quando per la prima volta ti ho stretto tra le braccia ho sentito che tutta la mia vita aveva avuto finalmente un senso. Tu non puoi capire quanta felicità sappia donare un esserino così piccolo... poco importa se tu non sei il bambino che ho portato in grembo, non avrei saputo amarlo diversamente o più di quanto ho amato te... per questo non ho avuto il coraggio di raccontarti la verità, non volevo perdere mio figlio perché tu sei e sempre sarai per me il mio bambino.
So che non mi perdonerai facilmente per quello che ti ho tenuto nascosto in tutti questi anni, ma anche tu, un giorno, quando avrai dei figli, potrai capire le ragioni per cui l'ho fatto... vorrei poterti aiutare a ritrovare le tue origini, ma purtroppo non conosco i nomi dei tuoi veri genitori, so che ti chiedo molto, ma se un giorno riuscirai a scoprire la tua vera identità, vorrei tanto che facessi una cosa per me... posa un fiore sulla piccola bara del mio bambino e digli quanto bene gli ho voluto.
Spero tanto che tu sia felice... ti amo tanto.
Tua madre

L'inchiostro qua e là era macchiato dalle lacrime che mia madre aveva versato scrivendo quelle poche righe così cariche d'amore, ed un nodo mi strinse la gola... ero stato ingiusto con lei, aveva dedicato la vita alla mia felicità ed io l'avevo ripagata nel peggiore dei modi, in fondo quanto poteva aver sofferto crescendo il bambino di un altra donna senza il conforto di una tomba su cui piangere il proprio piccolo? Anche lei, proprio come me, era stata privata della sua vera famiglia, ed ancora una volta si era fatta in quattro permettendomi di scappare e rischiando la sua stessa vita per me, non sapevo chi fossero i miei veri genitori, ma di sicuro lei era la miglior madre che un figlio potesse desiderare di avere.
Non mi restava molto tempo, le torri dell'aeroporto spiccavano contro il cielo proprio di fronte a noi, riposi la lettera nella busta e guardai il passaporto, era così strano vedere la mia foto sorridermi da quel foglio di carta e leggere un nome che non mi apparteneva, sarei stato capace di abituarmi a quella nuova esistenza? Solo il tempo poteva rispondere a quella domanda... da quel momento in poi il mio nome sarebbe stato Anthony Howard, nato a Londra il 13 maggio del 1986, con tutto quello che mi era successo negli ultimi giorni quasi l'avevo dimenticato, l'indomani sarebbe stato il mio compleanno.
Ripensai a quello che sarebbe successo se mia madre non avesse trovato il modo di farmi fuggire dal palazzo... chissà che ne era stato di lei... se qualcuno aveva già scoperto la mia fuga o se ancora stava coprendomi permettendomi di lasciare il paese... tutto sembrava tranquillo, ma talvolta le apparenze ingannano, ormai l'avevo capito a mie spese, dovevo quindi stare molto attento a non farmi scoprire, a Luxor potevo passarla liscia, quasi nessuno mi conosceva, ma al Cairo tutto sarebbe stato diverso, l'ombra della lunga mano dell'uomo che avevo sempre creduto essere mio padre ricopriva tutto il perimetro della metropoli, i suoi fedeli servitori si erano infiltrati in ogni attività, e non sarebbe stato facile ingannare i suoi scagnozzi.
Andai in cerca di un volo diretto per evitare di farvi scalo, ma purtroppo nessuna delle compagnie aeree mancava di effettuare lo scalo nella capitale, quindi, incrociai le dita ed optai per il primo volo disponibile, volevo arrivare da Aurora il prima possibile ed inoltre rimaneva nella capitale solo un'ora.
Quando il velivolo iniziò la discesa verso l'immensa distesa di cemento sotto di noi, un nodo mi strinse lo stomaco, chiamai l'hostess e le chiesi se avremmo dovuto scendere dall'aereo al nostro arrivo e lei mi tranquillizzò dicendomi che non era necessario, si trattava solo di uno scalo tecnico per permettere ai turisti di tornare a casa o proseguire il loro viaggio tra le bellezze della più grande città del nord Africa, non appena le ruote del carrello si staccarono nuovamente da terra abbandonando dietro di se il suolo egiziano tirai un profondo respiro di sollievo e mi rilassai contro lo schienale del seggiolino.
Mancavano un paio d'ore all'arrivo, e i piccoli schermi, sospesi sopra i sedili, trasmettevano un film, tutti i passeggeri sembravano interessati alle immagini che scorrevano davanti ai loro occhi, tutti tranne me... i miei occhi restavano fissi sull'agendina di Aurora che stringevo tra le mani, il suo indirizzo scritto con la sua calligrafia arrotondata, un po' da bambina, spiccava sulla prima pagina come fosse una scritta lampeggiante al neon, continuavo a leggerlo e rileggerlo senza sosta per imprimerlo nella memoria, temevo si cancellasse all'improvviso lasciandomi ancora una volta senza una pista da seguire. Ogni tanto guardavo fuori dall'oblò, cercando uno sprazzo tra le nuvole che mi permettesse di avvistare la mia terra promessa, ma il tappeto di nuvole, soffice ed uniforme ricopriva ogni cosa, sembrava di sorvolare un'immensa distesa di panna montata.

Arrivai a Londra nel primo pomeriggio, non appena fui sceso dall'aereo mi ritrovai con centinaia di occhi puntati su di me, un paio di volte scorsi perfino lo scatto di un flash, che diavolo avevano in quella città? Perché le ragazzine mi guardavano come fossi un essere sovrannaturale? E perché continuavano a chiedermi di fare foto con loro? Non riuscivo a comprendere quegli strani comportamenti, ed in fondo non mi importava, l'unica cosa che mi importava era di colmare il più in fretta possibile la distanza che ancora mi separava da Aurora. Sbrigai le formalità burocratiche e mi allontanai il più in fretta possibile da quello strano posto... un brivido mi arricciò la pelle delle braccia non appena lasciai il caldo rifugio del terminal, infilai la felpa che avevo portato con me ed un cappellino di lana per proteggermi dal freddo, nonostante l'estate fosse ormai alle porte fuori dall'aeroporto il termometro segnava 16 gradi.

Nonostante un timido sole risplendesse sulla città, doveva aver piovuto da poco perché le strade erano costellate di pozzanghere dove i palazzi si rispecchiavano, e l'aria era carica di umidità che mi entrava fin dentro le ossa... veramente ero nato in quel posto così freddo dove pioveva in continuazione?
Fermai il primo taxi e diedi all'autista l'indirizzo di Aurora sperando che non fosse troppo distante, ormai non stavo più nella pelle.
Il taxi si fermò di fronte ad un portone di un elegante villetta a schiera, tirai un lungo sospiro e dopo aver pagato mi avvicinai al portone di legno scuro, il cuore nel petto batteva talmente forte che pensai sarebbe balzato fuori da un'istante all'altro... allungai la mano verso il campanello, quando mi accorsi che qualcuno aveva lasciato il portone socchiuso, senza riflettere spinsi ed entrai.
La scala era immersa nella penombra, salii a due a due i gradini e mi ritrovai in un grande salone dove erano accatastati mobili e scatole, un nodo mi strinse la gola... non poteva essersi trasferita... non ora, corsi verso le stanze che si affacciavano sul salone e finalmente la vidi.
Rimasi come paralizzato ad osservare il suo profilo in controluce, il sole giocava col pulviscolo che aleggiava nella stanza rendendola quasi irreale, era intenta a dipingere su una delle pareti di quella che, mi accorsi solo in quel momento, doveva essere la stanza del bambino.... una ciocca di capelli le scivolò lungo il viso e nel tentativo di spostarla dietro l'orecchio il pennello le cadde di mano. “ uffa!!” le sentii pronunciare mentre con fatica tentava di chinarsi a raccoglierlo, la pancia che ormai si protendeva enorme oltre la sua esile figura, la intralciava nei movimenti. Senza pensare corsi verso di lei e mi allungai verso il pavimento per aiutarla.
le mani si sfiorarono raccogliendo il pennello ed i suoi occhi corsero al mio viso colmi di stupore, il barattolo del colore che ancora teneva stretto nell'altra mano le sfuggì spargendo sul pavimento il suo contenuto. Restammo accovacciati a fissarci per un attimo che mi parve infinito.
Anuar?...”
Sì.. Aurora...”
non riuscimmo a pronunciare altro, per le spiegazioni ci sarebbe stato tempo... per quanto tempo avevo bramato il dolce sapore dei suoi baci... la mia bocca cercò la sua, come quella di un assetato che improvvisamente si trova di fronte ad un ruscello di acqua cristallina, e quando finalmente le nostre labbra si incontrarono sentii di essere finalmente a casa.