martedì 30 agosto 2011

Capitolo 66

Anuar



Si sedette accanto a me e tentò di prendere le mie mani tra le sue, ma non ero disposto a concederle anche questo, l’avrei ascoltata perché non potevo fare altrimenti, ma niente di più.
ti prego Anuar… so che ti ho fatto soffrire, non era mia intenzione, darei la mia vita per te, ma ci sono cose che ancora non sai…”
e allora parlate, ma questa volta voglio sapere tutto”
va bene… anche se so che così facendo ti perderò per sempre ti racconterò tutta la mia storia… ti prego solo di non interrompermi finché non avrò finito, altrimenti non riuscirei a farcela…”
ok… lo prometto!”
………………
 “Ultima figlia del gran visir Tamose, fui promessa a tuo padre quando nacqui proprio come successe tra te e Jasmine, forse è un’usanza barbara, ma qui le cose da sempre funzionano così. 
Tuo padre era molto più grande di me quindi non ebbi alcun rapporto diretto con lui sino al giorno del matrimonio, fui istruita a diventare regina, ad assecondare tutti i suoi desideri, e quando finalmente lo incontrai, anche se potrà sembrarti strano, mi innamorai follemente di lui. Io ero poco più di una ragazzina quando lo sposai, mentre lui era un uomo nel fiore degli anni e a me sembrò di trovarmi al cospetto di un Dio.

Per alcuni anni tutto andò per il meglio, andavamo d’amore e d’accordo, entrambi felici del rapporto speciale che era nato tra noi sin dal primo giorno, ma un’ombra piano piano si intromise nella nostra felicità, nonostante i nostri ripetuti tentativi, non riuscimmo ad avere figli, o meglio, rimasi incinta numerose volte, ma non riuscii mai a portare a termine nessuna delle gravidanze, e quando mio padre morì... fu eletto al suo posto Talos, quest’ultimo, un uomo falso ed arrivista, insinuò in tuo padre il dubbio che io non fossi idonea ad essere la grande regina, in quanto non ero in grado di dargli l’erede che desiderava. Contemporaneamente gli spingeva tra le braccia sua figlia, una ragazza giovane e bella il cui unico scopo nella vita, proprio come il padre, era il potere... piano piano Talos riuscì nel suo scopo, il Faraone soggiogato dalla bellezza della fanciulla, prese nell'harem la giovane Fatima ed i rapporti tra noi si deteriorarono un giorno dopo l’altro.
Quando tuo padre mi lasciava per andare a passare la notte con le sue concubine era come se mi trafiggesse il petto con una lancia acuminata, passai molte notti a piangere mentre vedevo tutto il mio futuro disperdersi come un pugno di sabbia nel vento, e quando alla fine come temevo, Fatima diede alla luce un figlio, e per giunta  un maschio, la luce che vedevo accendersi nei suoi occhi quando mi guardava, prese una direzione diversa.
Avevo 30 anni e la mia vita era stata distrutta dal vagito di quel piccolo essere. Passai i mesi a piangere su me stessa, poi, un giorno decisi di contattare uno specialista e di sottopormi a delle cure che mi dessero la possibilità di dare a tuo padre ciò che desiderava, sperimentai ogni genere di cura e quando pensai di essere a posto, misi in atto il mio piano.
Sapevo che tuo padre nonostante tutto era ancora succube del mio fascino, quindi una sera, mi preparai al meglio e lo circuii, dopo tanto tempo, passammo finalmente la notte insieme e dopo qualche tempo scoprii che la nostra unione aveva dato i suoi frutti, nel mio grembo stava crescendo un piccolo essere e ingenuamente pensai che così come un bambino mi aveva privato della mia felicità, questo nuovo bambino avrebbe potuto farmi tornare indietro nel tempo e ridarmi ciò che con la menzogna mi era stato tolto.
Non dissi a nessuno del mio piccolo segreto finché non fui certa che questa volta la mia gravidanza fosse andata avanti… non avrei sopportato di leggere un'altra delusione negli occhi di tuo padre.
Quando arrivai al quarto mese, ormai il mio stato era sotto gli occhi di tutti, quindi presi da parte tuo padre e gli dissi che ero in dolce attesa, finalmente ritrovai la luce nei suoi occhi ed era tutta per me, il mio bambino aveva compiuto il miracolo ed il mio cuore al colmo della felicità sembrò librarsi dentro il petto come uno stormo di uccellini in volo.
Tuo padre era così felice che iniziò a ricoprirmi di doni come non faceva ormai da tempo, mi fece seguire da un medico straniero, uno dei migliori ginecologi dell’epoca, che saputo dell’esito delle mie gravidanze precedenti, decise per non farmi correre rischi, e meglio seguire il mio stato di farmi trasferire a Londra dove si trovava il suo studio… fu così che per la prima volta nella mia vita lasciai il mio paese.
I mesi passavano e tutto sembrava procedere per il meglio, anche se lontana da tutto quello che mi era famigliare  mi sentivo molto triste, l’unico mio conforto erano le lettere piene di dolcezza che tuo padre mi faceva pervenire ogni settimana ed i regali che mi inviava per aiutarmi a rendere più dolce il mio esilio.”
non vedo come tutto questo possa riguardare Aurora..”  dissi ad un certo punto interrompendo il fiume dei suoi ricordi.
avevi promesso che non avresti interrotto il mio racconto sino alla fine…”
“… ok… continuate… vi prego” le risposi forse un po’ troppo sarcasticamente, ma non avevo nessuna intenzione di renderle le cose facili, non dopo quello che mi aveva confessato, ma non se la prese, ed il fiume dei ricordi la trascinò nuovamente lontano da me, solo il suo corpo, come una statua di cera continuava a stare seduto su quel letto assieme a me.
una mattina mi svegliai con dei fortissimi dolori al ventre, e sebbene non fosse ancora il giorno che il dottore aveva stabilito per il parto, le doglie iniziarono a lacerare il mio corpo ed entrai in travaglio.
Purtroppo il parto non proseguiva come il dottore avrebbe voluto, quindi dopo una giornata intera di dolori laceranti … pregai il dottore di fare qualsiasi cosa per salvare il mio bambino, fui portata in sala operatoria per il parto cesareo, quando qualche ora dopo riaprii gli occhi, distesa sul mio lettino di quell'anonima stanza d'ospedale, tuo padre era lì, seduto accanto a me con un sorriso radioso sulle labbra, tra le braccia stringeva un fagottino azzurro, e non appena si accorse che ero sveglia mi posò tra le braccia uno splendido bambino che mi fissava con i suoi grandi occhi verdi come due laghetti di montagna ed il mio cuore si riempì di una gioia immensa come mai avrei pensato di provare… quel bambino eri tu amore mio.

Purtroppo solo molti anni dopo seppi la verità su quello che successe veramente la notte in cui nascesti tu… non so come dirtelo… spero solo che un giorno potrai perdonarmi per quello che sto per rivelarti, ma se  ti ho tenuto all’oscuro di questa cosa è solo perché ti amavo troppo ed avevo paura di perderti… spero solo che capirai le mie ragioni…”
vi prego…”
un giorno, quando tu eri già un ragazzo, mi giunse una busta da uno studio di avvocati di Londra… il dottore che allora mi aveva assistito era morto di una gravissima malattia, ma prima di morire mi aveva scritto una lunga lettera in cui mi spiegava quello che successe”
Copiose lacrime silenziose scesero a rigarle le guance mentre il peso dei ricordi stava sgretolando il suo esile corpo proprio di fronte ai miei occhi, commosso la strinsi contro il petto ed aspettai che si rimettesse in ordine accarezzandole la testa come avevo fatto tante volte con Aurora.
scu.. scusami… ora capirai perché ho cercato di allontanarti da quella ragazza... quella notte di quasi 25 anni fa, il bambino che portavo in grembo nacque con una grave malformazione cardiaca che lo avrebbe portato alla morte nel giro di pochissimo tempo, allora non c’erano possibilità…”
Non riuscivo a comprendere cosa stava cercando di dirmi.. io ero lì vivo e vegeto proprio accanto a lei, e non ricordavo nessuna malattia che avesse mai condizionato la mia vita, decisi di non interrompere il suo racconto e di lasciarle finire quello che aveva da dire.
il dottore ben sapendo quanto fosse importante per me quel bambino fece una cosa tremenda… prese il mio bambino, che morì di lì a poche ore, e lo sostituì con il figlio di una giovane coppia inglese che aveva già due figlie più grandi e che quella stessa notte, a pochi minuti da me aveva dato alla luce una coppia di gemelli…”
Il peso di quelle parole mi colpì con la forza di un uragano, tutta la mia vita era stata una gigantesca menzogna, mi mancava il respiro, il mio cuore mi diceva di stringere quella fragile donna che tanto aveva sofferto contro il mio petto mentre nella mia testa un urlo di dolore mi impediva di pensare a qualsiasi altra cosa.
pe… perché non me ne hai mai parlato?”
perché avevo paura di perderti, ormai il danno era stato fatto, che senso aveva parlarti di tutto questo e provocare tutto questo dolore? Ma poi è apparsa quella ragazza… quella mattina all’alba, ti ho visto nel deserto con lei, ho chiesto notizie su di lei ed ho scoperto che era una ragazza inglese che avevi salvato nel deserto… ho pensato che il passato fosse venuto a reclamare il debito che avevo con lui… per quanto ne sapevo poteva benissimo essere una delle tue sorelle, come potevo lasciare che tu ti invaghissi di lei sapendo che poteva essere parte della tua stessa famiglia? Ti prego Anuar, so che quello che ti ho detto ti ha devastato, lo posso leggere nei tuoi occhi, ma ricordati che io ti adoro… per me sei sempre stato tu mio figlio e sempre lo sarai”
Aurora è figlia unica… “ le dissi  freddo come il ghiaccio.
ora lo so, ma…”
non voglio più sentire scuse, voglio solo sapere dove si trova adesso Aurora…”
ma io non so nulla di Aurora… non l’ho mai più rivista dopo quella notte in cui andai a prelevarla dalla tua tenda… non so di cosa stai parlando… io non sapevo neanche che fosse tornata qui!”
NON VI CREDO… ORMAI NON CREDO PIU’ A NESSUNA DELLE VOSTRE PAROLE”
che ragione avrei di mentirti? Ho perso già tutto… prima l’amore di tuo padre, poi il mio ruolo di regina, ed ora anche il tuo amore, non ho più niente per cui valga la pena vivere…”



venerdì 26 agosto 2011

Capitolo 65

Anuar

Non riuscivo proprio a credere che mia madre potesse essere coinvolta nel rapimento di Aurora, e meno che mai riuscivo a credere che fosse stata opera sua, più pensavo a quello che mi aveva fatto intendere Aisha, e più tutte quelle che credevo essere le mie certezze cadevano a pezzi come un castello costruito con le carte da gioco, non poteva essere vero... forse avevo dato un senso sbagliato alle parole di Aisha, in fondo era sempre stata capace di manipolare gli uomini a suo piacimento, in fondo ero molto alterato quando avevo parlato con lei, ma dentro di me si era rotto qualcosa, sentivo una sensazione strana che mi spingeva a crederle, in fondo aveva rischiato la morte, non sarebbe stata capace di mentirmi visto quello che stava rischiando.

Continuavo  a vagare coi pensieri cercando di scoprire un motivo valido che poteva aver spinto  mia madre a comportarsi così, lei mi amava, di questo ero assolutamente certo… ero sempre stato la ragione per cui era rimasta in quella landa desolata sopportando i tradimenti ed i rancori di mio padre,  aveva rinunciato al sogno di ricostruirsi una nuova vita perché io potessi essere quello che ero.
Chiuso tra quelle quattro mura che m davano la sensazione di restringersi sempre più ad ogni secondo che passava, non avevo alcuna speranza di riuscire a scoprire la verità, l'unico modo per scoprire quello che era veramente successo sarebbe stato di riuscire a parlarne direttamente con lei, solo quando avessi sentito quelle parole pronunciate da lei stessa, avrei potuto credere che fossero la verità… o forse neppure allora.
Mi sedetti sul davanzale della finestra, il mio unico contatto con il mondo esterno... l'aria del tardo pomeriggio, entrando nella stanza, faceva danzare gli spessi tendaggi di broccato color ocra mentre gli ultimi raggi del sole infuocavano tutto il mondo attorno a me... rimasi a fissare rapito quel paesaggio che pur conoscendo a memoria non mi stancavo mai di ammirare, iniziai a scarabocchiare uno schizzo su un vecchio quaderno ingiallito dal tempo, era un modo come un altro per riposare la mente stanca dei mille pensieri che continuavano a farsi largo dentro di me. All'improvviso, colto da una folgorazione, mi battei la mano sulla fronte... che stupido ero stato... come avevo fatto a non pensarci prima? Avevo trovato il modo per riuscire a comunicare col mondo esterno… non potevo parlare con nessuno... è vero... però nessuno avrebbe mai potuto impedirmi di scrivere.
Preso da quella nuova consapevolezza rovistai nel cassetto dello scrittoio in cerca di un foglio intonso su cui scrivere una lettera per mia madre.. l'avrei resa partecipe della situazione complicata in cui mi trovavo e le avrei detto che avevo bisogno di parlarle di una cosa veramente importante.
Potevo consegnare la missiva alla persona che di lì ad un paio d'ore sarebbe certamente venuta a portarmi la cena sperando nella sua clemenza, ero molto amato a palazzo, e forse nessuno avrebbe trovato strano il fatto che scrivessi a mia madre, in fondo ero sempre il suo unico figlio e tutti sapevano quanto forte fosse il legame tra di noi.
Mentre il sole si nascondeva dietro l’orizzonte, scrivendo la parola fine ad un'altra giornata di prigionia, presi il foglio ed una penna e mi misi d'impegno a scrivere quella lettera che al momento costituiva la mia sola speranza di far luce nella buia notte dei miei pensieri. 

Non ricordavo neanche più da quanto tempo non prendevo in mano una penna, chissà cosa ne sarebbe uscito fuori, impiegai molto tempo a scrivere la missiva, le parole, così semplici e lineari nella mia mente, si trasformavano in segni sconosciuti non appena tentavo di tracciarle sul foglio, ma alla fine rileggendola, scoprii che in fondo avevo fatto un buon lavoro, non era un poema epico, ma non avevo tralasciato nulla… finalmente mi sentii più rilassato e mi sdraiai sul letto in attesa.
Ero sicuro che mia madre avrebbe preteso di vedermi, non appena avesse letto quelle parole, ed allo stesso tempo sapevo che mio padre non glielo avrebbe negato. Non era molto, ma in fondo non avevo niente da perdere, e forse sarei riuscito a scoprire una volta per tutte che fine avesse fatto la mia Aurora… ogni volta che pensavo a lei una fitta dolorosa mi squarciava il petto togliendomi il respiro.
Non dovetti attendere molto, dopo poco più di mezz’ora sentii il famigliare  sferragliare del vecchio chiavistello e subito dopo una donna, ammantata da capo a piedi, si fece largo nella stanza portando in bilico sulla testa un vassoio carico di cibo, feci finta di dormire e lasciai che si avvicinasse a me, quel tanto per fermarla e poterle consegnare la mia lettera che, ancora fresca di inchiostro, giaceva sul guanciale accanto al mio viso.

Quando finalmente appoggiato il vassoio, fu così vicina da poterla afferrare, la donna si voltò verso di me, e, con un gesto rapido ed allo stesso tempo elegante, si scostò dal volto lo chador che ne lasciava intravedere solamente gli occhi, rivelando lo splendido volto di mia madre.
“ciao Anuar…”
“madre?”
Rimasi pietrificato per la sorpresa, indeciso se gettarle le braccia al collo o odiarla per quello che aveva fatto a me e Aurora… la fissai intensamente negli occhi, quei suoi occhi così profondi che in qualche modo mi ricordavano quelli della donna che amavo.
“sì, figlio mio, una delle donne mi ha raccontato che eri stato rinchiuso in questa stanza per volere di tuo padre, ed io ho escogitato questo travestimento per venire a trovarti… so che tuo padre ha ordinato che non ricevessi nessuna visita, ma nessuno può fermare una madre quando le toccano il suo cucciolo… Allora… che fai, non vieni ad abbracciare tua madre?”
Scosso da quelle parole le gettai le braccia attorno ai fianchi e la baciai stringendola contro il mio petto… era dimagrita dall’ultima volta che l’avevo vista, ed osservandola più da vicino notai che molte piccole rughe avevano tracciato una ragnatela di piccoli solchi sulla pelle dorata delle sue guance. Erano passati pochi mesi dall’ultima volta in cui l’avevo vista e il tempo sembrava essersi preso una rivincita per quello che non era riuscito a fare in tanti anni.
Mi scostai un poco per vederla ancora meglio in viso. “madre… state bene?”
“sì tesoro mio… è solo l’età che avanza, il tempo mi è stato amico forse anche troppo durante la mia vita, ed ora è tornato a reclamare il suo compenso… ma non parliamo di me… abbiamo poco tempo, raccontami che ti è successo? Cosa hai combinato questa volta per farti trattare in questo modo da tuo padre? ”
“è una lunga storia, avevo scritto una lettera per spiegarvi che cosa mi è successo, e per avere l’occasione di poter parlare con voi… ed ora che siete qui vorrei chiedervi una cosa che per me è molto importante… non so come farvi la domanda che mi sta tanto a cuore, se non nel più brutale dei modi…”
“tu puoi chiedermi tutto quello che vuoi, non ho segreti per te!”
“siete stata voi, alcuni mesi fa, a far  rapire la ragazza che avevo salvato nel deserto?”
Non riuscii a completare la domanda, non appena ebbi pronunciato quelle poche parole la sua espressione cambiò, abbassò la testa e nei suoi occhi lessi quello che mai avrei voluto vedere.
“come avete potuto?” dissi allontanandola da me in malo modo.
“ti prego Anuar ascoltami…”
“non voglio sentire altro… io mi fidavo di voi… avete tradito la mia fiducia portandomi via l’unica donna che abbia mai amato!”
“siediti, per favore… Anuar… ascolta quello che ho da dirti, so che non giustifica il mio comportamento, ma avevo delle buone ragioni per fare quello che ho fatto, o almeno a quel tempo pensavo  che lo fossero… tutto quello che ho fatto l’ho fatto per te… non dimenticarlo mai!”



Non volevo ascoltare altro, ma purtroppo la situazione in cui mi trovavo non mi dava alcuna via d’uscita, quindi, rassegnato, mi sedetti sul bordo del letto ed ascoltai quella storia che aveva dell’incredibile e che avrebbe cambiato per sempre la mia vita.

mercoledì 3 agosto 2011

Capitolo 64


Aurora

Correvo a perdifiato per le vie di una città sconosciuta, ogni tanto mi guardavo attorno fissando le persone che mi passavano accanto in cerca di due occhi verdi, due laghetti di montagna in cui tuffarsi per non riemergerne più, ma ogni qualvolta pensavo di averli trovati, mi accorgevo che non era così e disperata riprendevo la mia corsa verso l'ignoto. Mi sentivo stanca come se avessi passato l'intera mia esistenza a correre dietro ad una chimera, forse era arrivato il momento di sedersi e riposare... Piano piano riuscii a riemergere dalle nebbie del sogno... ero sdraiata sul divano di casa mia, la solita coperta avvolta attorno al corpo come le bende di una mummia e il ventre scosso dai calci del bambino che mi stava percuotendo come se fossi stata un tamburo.
Accarezzai il ventre sperando di riuscire ad infondergli un po' di calma, mi girai verso lo schermo della TV che, ancora acceso, infondeva un po' di luce nella stanza buia.
Alla fiocca luce della TV scorsi un'ombra... qualcuno era seduto sulla poltrona proprio di fianco a me e sembrava stesse dormendo, una morsa di paura mi attanagliò le viscere... chi poteva mai essere e come aveva fatto ad entrare in casa? 

Cercai di riscuotermi... dovevo assolutamente fuggire prima che la persona in questione si destasse, in silenzio cercai di alzarmi dal divano, ma nella fretta dimenticai la coperta che mi aveva avviluppato le gambe e, ostacolata dalle mie condizioni, ruzzolai sul pavimento con un grido.
La persona che era sulla poltrona, svegliata dal mio grido si precipitò verso di me.
Aurora... che succede... stai bene?”
che cosa vuoi... non mi toccare... stai lontano da me!!”
Aurora, sono io... Francies...”
F-Francies?” presa dalla paura non avevo riconosciuto l'unica persona che mi era rimasta vicina per tutto l'arco della mia vita, come potevo essere caduta così in basso?
Sì sono proprio io... ed ora smettila di scalciare come un cavallo imbizzarrito e lasciati aiutare... ti sei fatta male? Chiamo un ambulanza?”
No... sto bene... davvero! Mi sono solo spaventata vedendoti... al buio non ti avevo riconosciuta... non pensavo che tu fossi qui”
e certo che non lo pensavi... hai pensato bene di tornare a Londra e di non dirmi niente... ho provato a telefonarti, ma il cellulare era sempre staccato... questa casa è ridotta un porcile, ed anche tu non scherzi, pensavo che ti fosse successo qualcosa quando ti ho vista sdraiata sul divano in queste condizioni... hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere? ”
scusami Francies, non volevo...”
non volevi cosa? Spero che tu avessi delle buone ragioni per non dirmi niente!” stava urlando contro di me e non era da lei alzare la voce, avevo proprio combinato un bel guaio. "Allora? Ti decidi a rispondermi?”
mi dispiace Francies, non volevo essere di peso...”
Aurora, se la pensi così sei proprio una sciocca... mi hai profondamente delusa... ciao, me ne vado!”
no... t-ti prego.... non lasciarmi da sola!”
Col mio stupido comportamento avevo rischiato di perdere l'unica persona che mi era sempre stata accanto. Non riuscii ad aggiungere altro, tutta la tensione che avevo trattenuto nell'arco di quegli ultimi giorni mi travolse come un fiume in piena, e mi ritrovai ancora una volta a singhiozzare sulla spalla di Francies proprio come qualche mese prima, mi sembrava di vivere in un eterno deja-vu.
shhh... smettila... mi dispiace di averti trattata così, ma tu non hai idea dello spavento che mi sono presa entrando in questa casa...Ho addirittura pensato che tu fossi morta... perché non mi hai avvisata del tuo ritorno? Sembravi così felice l'ultima volta che ci siamo sentite ed ora ti ritrovo così... non ci capisco più nulla, devi raccontarmi che ti è successo”
S-sì” riuscii a rispondere tra un singhiozzo e l'altro.
senti facciamo così... ora tu vai a farti un bel bagno caldo e ti rilassi mentre io do una ripulita a questo disastro e dopo, quando finalmente ti sarai calmata del tutto, mi racconterai quello che è successo... ok? E adesso alziamoci da questo pavimento... ho le chiappe gelate!”
A quelle parole mi scappò un sorriso.
tesoro... sai che sembri proprio una pazza quando ti metti a ridere mentre piangi? E poi dove sono finiti i tuoi splendidi capelli... sembra che ti abbia pettinato un gatto!” 
forse mi sono un po' lasciata andare in questi ultimi tempi..”
io toglierei quel forse... e adesso corri a farti un bagno”
con l'agilità di una balena arenata sulla spiaggia mi alzai e mi avviai verso il bagno.
Riempii la vasca sin quasi all'orlo e mi immersi nell'acqua calda e profumata chiudendo gli occhi e cercai di rilassarmi. Dalla cucina proveniva lo scrosciare dell'acqua del lavello e il tintinnare di piatti e posate che venivano accuratamente lavati... la voce calda di Francies accompagnava il tutto canticchiando una delle sue canzoni preferite... mi ricordò la fatina di cenerentola, mi sembrava di vederla in cucina agitare una bacchetta magica sopra il lavello canticchiando.

Lentamente la tensione che da giorni attanagliava il mio corpo lasciò il posto ad una nuova consapevolezza... ero a casa! ed un senso di pace pervase le mie stanche membra.
Il temporale sembrava essere passato, riuscivo a scorgere un angolino azzurro farsi largo tra le nubi che da giorni offuscavano il mio cuore, forse non sarebbe mai più stato completamente azzurro, ma neanche completamente buio.