mercoledì 16 marzo 2011

capitolo 20 Il Cairo


Quando scesi la scaletta dell’aereo l’aria calda sferzò il mio viso ancora assonnato, fu come se avessi ricevuto uno schiaffo in pieno viso, come se qualcuno avesse aperto la porta di un forno, mi tenni al corrimano, inspirai una boccata di quell’aria rovente e mi incamminai verso il ritiro bagagli. 
Ritirai la mia sacca, se così si poteva chiamare, sembrava un armadio per fortuna aveva le ruote! e andai verso l’uscita.
Mi infilai nel primo taxi che trovai libero, diedi l’indirizzo dell’hotel, dove avrei passato quella prima notte al tassista, e appoggiai la testa al finestrino.
Il traffico sebbene fosse primo pomeriggio era già terribile, persino peggio di quello di Londra, insieme alla moltitudine di automobili, c’erano carretti traballanti colmi di verdure colorate tirati da poveri asinelli denutriti.
Non riuscivo a staccare gli occhi dal finestrino, erano uno spettacolo ricco di colori, persino l’aria aveva un colore giallastro, probabilmente dovuto alle particelle di sabbia che giungevano sino a lì trasportate dal venticello che soffiava dal deserto. Com’era diversa dalla mia città dove il colore dominante era il grigio, grigie le strade, grigie le case e persino gli uomini nei loro abiti eleganti erano grigi.
I bambini giocavano scalzi nei cortili fra le macerie di case mai terminate e i cumuli della spazzatura, non possedevano giochi costosi, si divertivano a correre dietro a una vecchia palla mezza sgonfia o a far girare un vecchio copertone con un bastone, e nonostante tutto sui loro volti leggevo la felicità.
Appena vedevano avvicinarsi le automobili dei turisti correvano verso di esse con le mani tese in cerca della bakshish (l’elemosina) o di quelle poche penne e caramelle che riuscivano ad ottenere. Pensai che se fossi rimasta in quel luogo forse anche mio figlio tra qualche anno avrebbe fatto le stesse cose.
Lungo le strade gli uomini semi sdraiati sui marciapiedi fumavano i loro narghilè incuranti di tutto quello che li circondava.
Le donne erano vestite con le loro galabie e il chador a coprire parte del viso ed i capelli reggendo in bilico sulla testa ceste colme di pani che andavano a vendere al mercato, mentre le ragazzine incuranti dei precetti della religione giravano con i loro vestiti occidentali. 
Nessuno sembrava avere fretta, mi sembrava tutto irreale, ero abituata ad un mondo dove tutti andavano di corsa, lì ero come in un altro mondo, sembrava di aver fatto un balzo indietro nel tempo.

L’odore delle spezie giunse sino alle mie narici anche se il finestrino dell’auto era chiuso, iniziai a sentire un leggero senso di nausea, ma cercai di non dargli troppo peso, era impensabile fermarsi in quel caos.
Ad un tratto si levò nell’aria un grido acuto, colta di sorpresa mi spaventai, il tassista sembrò accorgersene “non si preoccupi signora, è solo il muezzin che chiama i fedeli alla preghiera”
grazie... è solo che ero sovra pensiero! Manca ancora molto al mio albergo?” la nausea si stava facendo più insistente anche per via delle enormi buche che caratterizzavano il manto stradale.
siamo quasi arrivati, è quel palazzo in fondo alla strada!” 
Pagai la corsa del taxi, consegnai la valigia al fattorino e andai a ritirare la chiave della mia stanza, dovevo assolutamente correre in bagno.
signora si sente bene?” mi disse la ragazza alla reception.
si, è solo un po’ di nausea, potrei avere la chiave della mia stanza?”
“certamente … eccola... è sicura di non avere bisogno di aiuto?” 
“si grazie” le dissi mentre mi precipitavo verso l’ascensore.
Quando raggiunsi la stanza volai letteralmente in bagno e dopo aver vuotato quel poco che il mio stomaco conteneva, come un automa mi diressi in camera e mi gettai sul grande letto esausta.
Qualcuno aveva provveduto a potarmi in camera la valigia ed un vassoio con thé e biscotti secchi. Sicuramente la ragazza della reception, mi sarei dovuta ricordare di ringraziarla.
Presi la cornetta del telefono e chiamai Francies per comunicargli che tutto era andato bene. Non sapevo quando avrei potuto risentirla, nel deserto non c’era copertura telefonica.
"Pronto... Francies?"
"ciao tesoro... sei arrivata? è andato tutto bene? hai una voce!"
"si cara... tutto bene, è solo la solita nausea... sai le gioie della maternità... aiutate dal manto stradale del Cairo" le risposi sorridendo.
"sono felice che tu stia bene... mi raccomando... fatti viva, non vorrei dover correre a cercarti!"
"non so quando riuscirò a chiamarti... nel deserto i cellulari non prendono... comunque non preoccuparti per me... starò bene! ti chiamerò non appena mi sarà possibile sperando di darti belle notizie... salutami Robert... un bacio"
"ciao Aurora... incroceremo le dita per te... a presto!"

Ero veramente stanca, nonostante avessi riposato sull'aereo la notte insonne si faceva sentire, tirai fuori dalla valigia lo stretto necessario, infilai il pigiama e poi chiamai la reception e ordinai qualcosa da mangiare, non avevo nessuna voglia di cambiarmi e scendere nel ristorante...
Cenai nella mia stanza e andai a dormire presto. Il mattino dopo avevo appuntamento con quella che sarebbe stata la mia guida durante la ricerca di Anuar, avrei voluto intraprendere quel viaggio da sola ma era impossibile vagare nel deserto senza una guida autorizzata dal governo egiziano.



1 commento:

Unknown ha detto...

Questo pezzo è semplicemente divino. Sembra di essere lì in quei luoghi caldi e speziati... Perfetto.