Aurora
Era stato facile abituarmi ai grandi orizzonti africani dove per miglia e miglia non si scorgeva nessun edificio la polvere gialla che ricopriva ogni cosa, i suoni e perfino gli odori tanto diversi da quelli a cui ero stata abituata mi erano subito entrati nelle vene come se fossi sempre vissuta in quei luoghi... come era difficile guardarsi attorno e scorgere solo palazzi su palazzi tutti uguali grigi e anonimi come i loro proprietari... anche qui aleggiava nell'aria la polvere ma era una polvere ben diversa dalla tiepida sabbia del deserto, qui la polvere era il grigio smog che fuoriusciva dai motori delle automobili che continuavano a muoversi imperterrite per le strade della città e che si appiccicava addosso dando alla pelle una sfumatura grigiastra... anche il sole aveva un aspetto diverso... non era quella grande palla infuocata i cui raggi ci avevano scaldato sin dalle primissime ore del mattino, qui i suoi pallidi raggi riuscivano a malapena ad emettere un lieve tepore per non parlare della pioggia che a Londra era quasi un evento quotidiano.
Non mi era mancata per nulla... quando l'avevo lasciata, quattro mesi prima, l'avevo completamente cancellata dalla mente come se tutti gli anni vissuti in quella città non fossero mai esistiti... come mai con Luxor non era successo lo stesso? In fondo vi avevo passato solo poco più di un mese... il mese più bello di tutta la mia vita! Ecco il perché... chi volevo prendere in giro... non avrei mai dimenticato quegli ultimi mesi, per quanto ci provassi con tutte le mie forze i ricordi tornavano ad affiorare sempre più dolorosi perché ogni minuto che mi separava da Anuar era come una pugnalata nel petto.
Finché ero stata in Egitto in qualche modo mi ero sentita vicino a lui ma ora che migliaia di chilometri ci separavano sentivo la sua mancanza ogni secondo sempre di più.
“signora siamo arrivati”
Così presa nei miei pensieri non mi ero accorta di essere arrivata di fronte al portone di casa.
“grazie... arrivederci!”
Pagai il tassista, raccolsi le mie cose e poi mi diressi verso la porta di quella che sino a qualche mese prima era la mia casa ma che in quel momento mi sembrava solo un edificio estraneo.
Rovistai nella borsa in cerca delle chiavi, perchè mi ostinavo a comprare borse enormi dove per trovare anche una cosa banale come un semplice mazzo di chiavi ci impiegavo mezz'ora? Dopo aver rovistato a lungo, quando ormai stavo per disperare, finalmente le trovai, si erano infilate in un buco all'interno della fodera... maledette borse!
Infilai la chiave nella serratura... un clic metallico e poi la porta si spalancò di fronte a me... sul legno delle scale un filo di polvere depositato dal tempo mi diede il benvenuto in quella casa che non sentivo più mia, richiusi la porta dietro le mie spalle allontanandomi così dalla vita che continuava a scorrere dietro quella porta, una vita in cui non mi riconoscevo più e con cui avrei dovuto riprendere lentamente conoscenza ma che ora non volevo.
Nel grande salone i mobili erano stati coperti con lenzuola bianche per proteggerli dalla polvere, dai lampadari le ragnatele lasciate crescere indisturbate pendevano come drappi argentati alla flebile luce di un timido raggio di sole che si faceva largo tra le imposte chiuse.
Quella era la mia casa, un tempo l'avevo amata, ora la detestavo, sembrava una di quelle case che si vedono nei film degli orrori, forse tra qualche secondo sarebbe apparso uno psicopatico che avrebbe messo fine per sempre alla mia vita e con essa sarebbero finite pure le mie sofferenze, scossi la testa a quel pensiero... come potevano venirmi in mente certi pensieri?
Tolsi i teli leggermente ingrigiti per via della polvere che vi si era depositata sopra, accesi la TV e poi aprii le grandi finestre per arieggiare, nell'aria l'odore di chiuso e di polvere cominciava a darmi fastidio ed infatti mi prodigai in una sfilza di starnuti che mi lasciarono quasi senza fiato.
L'ora di pranzo era passata da un po' e lo stomacò iniziò a brontolare sonoramente, andai verso la dispensa, non so cosa cercassi, dopo mesi che poteva esserci di ancora commestibile in casa? Forse sarei dovuta uscire ed andare a pranzare in un ristorante, ma era veramente troppo tardi, rovistai nel freezer e trovai una pizza surgelata... forse non era il massimo, ma sempre meglio che niente, inserii la pizza dentro il forno e mentre questa cuoceva spargendo il suo odore per tutta la casa, andai a gettarmi sotto il getto caldo della doccia... non ero più abituata a quella temperatura ed il gelo patito all'arrivo, unito all'aria che entarava dalle imposte aperte mi era entrato sin dentro le ossa.
Socchiusi gli occhi e rimasi sotto il getto caldo dell'acqua per lungo tempo lasciandomi massaggiare dal dolce tepore di quelle gocce che scivolando sul mio corpo cancellavano la stanchezza ed il freddo lasciandomi una grande sensazione di benessere.
Quando finalmente mi decisi ad uscire nel bagno una nebbia di minuscole goccioline di acqua ricopriva tutto... mi avvolsi nel morbido accappatoio di spugna e raccolsi i capelli dentro un grande asciugamano che mi avvolsi attorno alla testa a mo di turbante... ad un tratto mi ricordai della pizza che avevo infilato nel forno ben 40 minuti prima, corsi verso la cucina dove iniziava a provenire un leggero odore di bruciato, aprii il forno, ero arrivata appena in tempo... ancora qualche minuto ed avrei detto addio al mio pranzo.
Mi sedetti su uno degli sgabelli in fila accanto alla piccola isola e iniziai a sbocconcellare la mia pizza... dovetti raschiar via una buona parte della crosta, proprio il pezzo che amavo di più, in quanto quasi carbonizzato ma il resto poteva andare..Il mio palato ormai completamente assuefatto al cibo egiziano fu deliziato di riscoprire gli antichi sapori... e poi a quell'ora, con la fame che avevo accumulato negli ultimi giorni, avrei mangiato pure una scarpa e forse l'avrei trovata squisita.
Lasciai i piatti lì dove si trovavano, non avevo nessuna voglia di mettere in ordine, ero molto stanca, non vedevo l'ora di sdraiarmi un po'... tornai nel bagno ad asciugarmi i capelli... poi mi gettai sul divano, mi avvolsi nel vecchio plaid che ormai faceva parte del divano stesso e dopo poco tempo mi addormentai cullata dalle voci provenienti da quella scatola magica senza cui non sapevamo più vivere... che strano! erano mesi che non accendevo un televisore, ma non appena ero entrata in casa, avevo sentito il bisogno di accenderla.
Mi svegliai scossa dai brividi... le tende della sala si gonfiavano come le vele di un galeone nella tempesta... avevo dimenticato le finestre aperte e l'aria della sera fredda ed umida aveva riempito l'ambiente... mi alzai controvoglia e andai a chiuderle, addosso avevo ancora l'accappatoio di spugna.
Fuori i lampioni iniziavano ad accendersi mentre le persone indaffarate si spintonavano per strada... com'era tutto diverso qui... erano bastate poche ore di volo e mi sembrava di essere entrata in una nuova dimensione, come se invece che su un aereo fossi salita su una macchina del tempo.
Sarei dovuta uscire per procurami qualcosa da mangiare ma non volevo avventurarmi in quella giungla di cemento con uomini dalle facce tutte uguali dove nessuno si interessava dell'altro, volevo stare ancora confinata per un po' dentro il mio mondo personale.
Presi in mano il ricevitore del telefono e chiamai il negozio di alimentari all'angolo della strada... la signora Smith, la proprietaria, mi conosceva sin da quando mi ero trasferita da New York una decina di anni prima ed ogni tanto mi faceva il favore di portarmi la spesa a casa.
“Buonasera signora Smith... sono Aurora... Mansen”
“Aurora? Ah mi scusi signorina Mansen... non l'avevo riconosciuta... è tanto tempo che non la vedo passare... è stata fuori città?”
“Sì...” non mi andava di spiattellare la mia storia, sapevo che mi aveva fatto quella domanda solo per pura cortesia, quindi mi inventai una storia plausibile “sono stata fuori per lavoro, sono ritornata quest'oggi... volevo chiederle... non è che per cortesia potrebbe recapitarmi a casa alcune cose?”
“ma certamente... mi dica cosa vuole, le manderò immediatamente mio nipote Alex, è venuto a passare qualche giorno qui con me e non fa altro che chiedermi di lei”
“ è sempre molto gentile con me... sarò felice di rivedere Alex... quanti anni ha adesso?”
“ne ha compiuti 16 il mese scorso... ormai è un uomo, non so per quanto tempo ancora verrà a trovare la sua nonna”
“sono sicura che Alex la adora e che continuerà sempre a venire a trovarla... non si preoccupi!”
“grazie signorina Mansen... mi dica pure quello che vuole.. glielo mando subito”
Dettai la mia lista della spesa e poi andai ad infilarmi qualcosa di comodo in attesa di Alex... era passato molto tempo dall'ultima volta che l'avevo visto, forse cinque anni... chissà com'era cambiato in tutto quel tempo, i bambini cambiavano nel giro di un battito di ciglia, l'avrei riconosciuto dopo tanto tempo?
Erano passati si e no 20 minuti dalla telefonata quando sentii lo squillo del campanello... scesi le scale ed aprii il portone, di fronte a me non c'era più il bambino biondo tutt'ossa che un tempo veniva a casa mia a vedere i film e che mi faceva mille domande... ma un bellissimo ragazzo biondo che mi fissava sorridendo.
“ciao Aurora...”
“ciao Alex... ma sei proprio tu?”
“è passato un bel po' di tempo da quando ci siamo visti l'ultima volta vero? E anche tu mi sembri un po' cambiata” disse guardando con sorpresa il mio pancione. “la nonna non mi aveva detto che ti eri sposata... ne che aspettavi un bambino...”
“non lo sapeva Alex, sono stata fuori città per tanto tempo... e comunque non sono sposata”
“allora hai un po' di tempo da passare con un vecchio amico?”
“certo tesoro... per te ho sempre tempo... lo sai! Vieni dentro”
“ti andrebbe di vedere un film? Venendo qui sono passato vicino alla videoteca ed ho preso in prestito il nostro film preferito...”
“non ci posso credere... hai preso <il diario di Briget Jones>?”
“sì... l'ho visto su uno scaffale ed ho subito pensato ai nostri pomeriggi seduti su quel divano a vedere questo film e sgranocchiare pop corn.. ti va di rivederlo con me in ricordo dei vecchi tempi?”
“ma certo... ho proprio bisogno di farmi due risate...” forse avevo parlato troppo, mi scrutò coi suoi due occhi dallo sguardo innocente in cui riconobbi il bambino che era stato e che ancora era parte di lui.
“Stai bene Aurora?”
stavo per scoppiare a piangere... sentivo le lacrime spingere dietro le ciglia, le ricacciai indietro e cercai di rispondere a quella domanda il più sinceramente possibile. “in questo momento non troppo... ma starò bene, lo devo a mio figlio! Raccontami un po' di te... che cosa hai fatto in tutto questo tempo?”
Parlammo per tutta la serata, per cena preparai hamburgher e patatine fritte che sgranocchiammo seduti sul divano di fronte alla Tv. Fu una serata veramente piacevole e per alcune ore il peso che si era posato sul cuore si fece più leggero.
3 commenti:
Wooowww... però questo Alex si è fatto proprio un bel ragazzino!!! Bello ed emozionante tesoro, come sempre!!!
Mi piace molto questo rientro a casa...semplice e reale, mette subito in sintonia. Il fighetto ci vuole eh?..aahah
Sono d'accordo con Francies, molto intimo e confortante il ritrovare la propria dimora...si sente quasi l'aria di Londra sul viso...e poi i vecchi amici non guastano mai, specialmente se sono carini!
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